Inauguriamo in questo numero di marzo 2022 un nuovo tema di sicuro interesse: il diritto e le nuove tecnologie.
In questa prima uscita ci interessa sottoporre unicamente un inquadramento di carattere sistemico – generale, riservando poi, alle prossime uscite, dettagli e casistiche esemplificative più specifiche. Ricordiamo, inoltre, che scriviamo sempre sulla essenziale premessa, che in questa sede i temi vengono sviluppati in modo estremamente semplificato, nonché generale. Pertanto l’accortezza è sempre quella, di fronte a dubbi interpretativi ovvero situazioni concrete, di rivolgervi al vostro avvocato consulente di fiducia regolarmente iscritto all’ordine professionale, che vi saprà certamente consigliare e indirizzare nel modo migliore.
Siamo immersi oramai, totalmente, nei social media, in questi mondi virtuali e nuove terminologie che talvolta ci attanagliano più della vita reale, talaltra si insinuano in essa. Altre volte ancora, si “confondono” con la vita reale in modo alquanto insidioso.
Se avete seguito con attenzione le precedenti uscite di Imola.it sul tema della mediazione, avrete potuto osservare come l’aspetto della comunicazione sia fondamentale nei rapporti umani (ancor più se conflittuali, ovvero a rischio di conflittualità). Sapere comunicare. Farlo bene. Farlo con efficacia. Farlo affinché quello che diciamo sia non solo bene espresso, ma anche bene compreso dal nostro interlocutore (o interlocutori, se siamo di fronte a una platea). Tutto questo è fondamentale. Nell’utilizzo degli strumenti virtuali molto spesso, difettano due fattori essenziali che caratterizzano i rapporti interrelazionali: una parte essenziale della comunicazione. Il “tu”. Noi scriviamo un messaggio in chat di un certo tenore. Dall’altra parte, come viene recepito? Dall’altra parte, chi c’è?
Manca tutta la parte comunicativa espressiva di tipo non verbale (che solitamente implica un 70 % di efficacia) e paraverbale (circa il 20 %). Solo il 10 % è comunicazione verbale pura (cioè quello che le sole parole esprimono). Con l’aggravante che, nel caso del “virtuale”, delle “chat” nello specifico, la comunicazione è scritta. Non si percepisce la voce. Il tono, la frequenza. Non si vede il viso e le espressioni della persona. Manca ogni contatto visivo con la postura, con l’approccio paraverbale (seduto, in piedi, braccia conserte, busto teso ad allontanarsi o avvicinarsi, eccetera). In sintesi è una comunicazione fatta per 1/10 del suo effettivo potenziale. Si può sopperire, talvolta, con mini video, o messaggi vocali che quanto meno hanno il pregio di compensare alcuni degli aspetti sopra carenti.
Manca un “tu” preciso. Chi sta recependo il messaggio? Una persona (chat privata)? Una platea di persone (post Facebook o Instagram o LinkedIn) ? Come verrà percepito tale messaggio. L’altra persona come sta, è nelle condizioni di leggerlo? E’ ammalata sta bene? Ha proprie ansie che la indispongono in quel momento? Il messaggio che comunico pubblicamente è chiaro ed efficace? Oppure ambiguo e si presta a distorsioni e (si pensi a personaggi pubblici) utilizzo magari giornalistico con finalità deteriori rispetto alle intenzioni di chi lo ha posto in essere.
Comprendete, se ci spostiamo dal livello “comunicativo” al livello “giuridico”, come tali strumenti possono davvero divenire delle gravi armi a doppio taglio, ove non siano perfettamente e coscienziosamente gestite.
Poniamo un esempio pratico che in sé, apre tanti scenari su cui ci addentreremo nel prosieguo e nelle prossime uscite di Imola.it. Chat aziendale di 10 dipendenti di reparto. Una di questi scatta furtivamente una fotografia al direttore di reparto che in quel momento sta passando con un commento similare: “carinooo” e a seguire la tipica “emoticon” faccia a cuore. Seguono commenti, scherni, risolini ecc. Per uno scherzo del destino (leggi, una invidia, uno scherzo, qualunque motivo), lo screen shot della chat finisce in messaggio sul telefonino del direttore o di un suo stretto collaboratore che glielo mostra. Quali e quante implicazioni possono emergere da una fattispecie similare, soprattutto a livello giuridico? E’ lecito scattare una foto a una persona? In un luogo – azienda – privato? E’ lecito parlare, commentare questa persona? E’ lecito “denigrarla”? Il commento “carinooo” era da intendersi ironico, veritiero, denigratorio? E se la “malcapitata” intendeva solo riferirsi all’abito indossato dal manager e non alla sua persona? Il manager potrebbe “percepirsi” come persona diffamata? Ed ancora, è lecito che uno screen shot di chat privata, esca da essa e finisca su altri smartphone non coinvolti in quella chat privata? E se quello stesso messaggio, proseguendo il suo itinerario arrivasse a conoscenza del marito della signora che aveva commentato “Carino” e questo incrinasse il rapporto? Chi risponderebbe di ciò? E soprattutto, le chat, i messaggi, valgono come “prova”?
Spero ed auspico dall’esempio certamente riduttivo, appena riportato, che sia comprensibile la portata della questione, specie laddove essa non abbia a riferimento un caso semplice come questo ma, talvolta, anche rapporti commerciali e/o aziendali che sempre più escono dagli ormai superati canali (lettere, mail) e si incanalano in forme di comunicazione più vorticosa e rapida. Dal che emerge sempre un quesito di fondo: ma è la direzione giusta o, talvolta, è bene guardarsi negli occhi e fare un passo indietro?
Lo vedremo nei prossimi approfondimenti in cui affronteremo alcune casistiche pratiche.