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MEDIAZIONE O CAUSA ?

LA RECENTE RIFORMA CARTABIA E I DECRETI MINISTERIALI ATTUATIVI

A partire da questo numero ci soffermeremo a sottoporre alcune casistiche concrete per dimostrare come, in molte occasioni, la mediazione rappresenti veramente uno strumento valido, efficace e molto utile per la risoluzione dei conflitti. A dispetto di una causa, che quanto a tempistiche, costi, incertezza dell’esito, rappresenta il classico metodo per amministrare e gestire i contenziosi, che tuttavia risente fortemente di una crisi del settore ormai cronica (e questo, nonostante riforma dopo riforma) e non pare più poter essere al passo dei tempi e mutamenti in corso, una mediazione è certo uno strumento più dinamico e duttile ad ogni scopo.

Recentemente è stato oggetto di importanti interventi di revisione a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 149/2022 e dei successivi decreti ministeriali di attuazione tra cui si segnala in particolare, il DM 150/2023 di ottobre. Non ritorneremo su tematiche afferenti la parte principale della riforma (norme quadro di cui al decreto 28/2020 modificato, appunto dal d.lgs. 149/22) ma evidenzieremo alcuni aspetti peculiari evidenziati con il recente DM 150.

Il primo dato di rilievo è caratterizzato dal fatto che laddove la mediazione è prevista come obbligatoria, le parti non possono più (si scusi l’espressione) “fingere” di giocare alla mediazione, affinché sia adempiuta la condizione di procedibilità per poi andare in causa. In primo luogo perché è richiesta, necessariamente, la presenza personale della parte, che non potrà farsi sostituire da terzi e nemmeno dal proprio avvocato. L’avvocato deve essere presente, ma anche la parte deve esserlo, in proprio e solo per giustificato motivo potrà non presentarsi. Il motivo deve essere veramente giustificato e non basterà allegare “malumori” o “volontà” di non incontrare il proprio contendente. Una malattia (e in tal caso, il mediatore, potrà disporre rinvio della procedura), un viaggio improvviso e non rinviabile, altri impedimenti sempre e comunque documentati da oggettività. Il rischio, qualora la parte pervenga in mediazione adducendo un motivo “debole” o comunque “non dimostrabile”, è che in un eventuale futuro giudizio il magistrato possa considerare non giustificato il motivo e, dunque, non assolta la condizione e quindi rimandare le parti in quella stessa sede.

Secondariamente, le parti in mediazione, non si limitano a fare solo presenza per verbalizzare che “non intendono accordarsi” e poi retrocedere dal tavolo di trattativa. Il mediatore vigila affinché si svolga un confronto serio e leale tra le parti. Vengono addirittura individuati dei tempi (due ore) come tempo medio in cui si sviluppa un regolare incontro di mediazione per potere presentare i requisiti di effettivo e leale svolgimento delle attività.

Per quale motivo, il legislatore, insiste così tanto con il promuovere l’istituto della mediazione? Evidentemente perché l’efficacia del metodo è oramai un dato acquisito. Un importante lavoro viene fatto in mediazione anche da parte degli avvocati la cui presenza è essenziale. Intanto, per il fatto che svolgono e garantiscono l’esercizio della rappresentanza ed assistenza del cliente, garantita come diritto imprescindibile di difesa, dalla stessa Costituzione italiana. Proprio per questa ragione è richiesta sempre più una formazione specifica per gli avvocati che accompagnano le parti in mediazione in quanto varie sono le dinamiche che insorgono in tale sede.

In un contesto ove, generalmente, il confronto avviene tra i difensori, davanti ad un giudice e dove gioca un ruolo fondamentale la relazione di colleganza, anche da un punto di vista deontologico, si passa ad un contesto in cui lo spettro dei rapporti si allarga ai clienti: clienti che molto spesso non conoscono il “linguaggio” forense, la “condotta” forense, tantomeno la deontologica. Si assiste, pertanto, talvolta, a siparietti curiosi in mediazione in cui l’avvocato (che molto spesso viene identificato dalle parti come l’alleato del nemico, e dunque, il nemico) viene bersagliato dal cliente e reagisce, a sua volta. Occorre disegnare in mediazione una nuova mappatura dei rapporti e delle relazioni affinché si ottenga una vera e propria “trasformazione” degli stessi da oppositivi – aggressivi, a cooperativi – partecipativi. Può apparire un paradosso ma è molto meglio potere essere accompagnati in mediazione da avvocati che conoscano l’arte della negoziazione e che assumano atteggiamenti cooperativi (da non confondere, il termine, con remissivi e lascivi), che da avvocati super esperti conoscitori della materia trattata, ma non adeguatamente preparati a “riporre” gli schemi del processo e delle (sole) “regole”, sino ad apparire alquanti rigidi (e di conseguenza, spesso accade) con atteggiamenti duri ed aggressivi.
Avv. Filippo Martini